Cosa significa allenamento? @Pastry Camp

Si è appena concluso il Pastry Camp in Cast Alimenti.

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E ieri, in chiusura, ho spiegato un po’ imbarazzata che sono poco brava con le parole e che quindi preferisco scriverle… e che quando Gianluca Fusto mi ha chiesto “a caldo” le sensazioni dell’allenamento con lui e Davide Malizia, da quando abbiamo iniziato ad oggi, di getto gli ho risposto come leggerete qui sotto.

E vorrei condividere questo pensiero con voi, con chi c’era e già mi ha ascoltata e con chi invece proprio non è venuto o non poteva esserci. Perchè è difficle descrive e comprendere un emozione, ma spero di riuscire, anche per un’infinitesima parte a trasmettervela.

“Cosa significa allenamento? Credevo di saperlo almeno un po’ avendo visto tanti allenarsi in Cast Alimenti mentre facevo lo stage. Credevo di saperlo avendo passato alcune notti insonni insieme ad altri stagisti, per supportare chi stava dando il tutto per tutto. Eppure non lo sapevo. È come guardare la fiamma di un camino e sapere che scotterà dato tutto il calore che emana… eppure non saprai mai quanto è calda per davvero finchè non ti brucia.
Qui è la stessa cosa. Non ho mai creduto fosse una passeggiata. E mai avrei pensato che ancor più che la stanchezza fisica, ciò che distrugge fosse la stanchezza emotiva. Ma è la forza di volontà ciò che è in gado di tenerti in piedi quando le tue gambe non ne vogliono più sapere. E questo in effetti già lo sapevo bene.
Personalmente ho deciso di intraprendere questo percorso più per una sfida con me stessa che per altro. Da una parte c’è la pancia, il sogno nel cassetto che non puoi lasciare chiuso a lungo, come fece C  enerentola a quel famoso ballo. Dall’altra c’è l’aver bisogno di crescere. E non solo professionalmente, ma emotivamente. Che forse poi non sono cose così strettamente differenti. Riuscire a gestire alcuni stati di “panico” in cui il mondo e le galassie diventano nere. Riuscire a tenere a freno la propria emotività che spesso gioca troppi scherzi. E si, anche imparare a vivere momenti brutti, importanti e in cui vorresti qualcuno accanto. E invece in quella stanza, e in quel box, sei e sarai da sola.

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Ma questa è solo la prefazione. In un allenamento entrano in gioco più teste. La tua e quella del tuo o dei tuoi allenatori. Tutto ciò ha dei pro e dei contro. Innanzi tutto siamo esseri umani, ognuno con proprie idee e caratteri, con propri modi di fare e vedere il mondo. In più ci sono bagagli di esperienza differenti. Qui io sono solo una bambina, sono solo due anni che sono in questo mondo; nulla a che vedere con il loro percorso, Davide Malizia e Gianluca Fusto. Che dire, non hanno bisogno di presentazioni. Attraverso i mesi di allenamento ho avuto modo già ora di conoscere entrambi, in modo diverso e per così dire, più a fondo. Conoscevo meno Davide, che all’apparenza può sembrare più chiuso e scontroso. E che invece ho totalmente rivalutato e scoperto. Il professionista che è rispecchia anche il suo essere persona, decisa e con obiettivi ben precisi, ma decisamente umana. Che sa quando essere duro e quando invece hai bisogno di essere accompagnata.

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E poi c’è Gianluca. Se dovessi definirlo lui è genio e sregolatezza, la persona che ha uno schema ben in mente ma che comunque si lascia trasportare dalle maree. O insegue le farfalle. Il rapporto che ho sempre avuto con lui è un rapporto di amicizia. È nato tra queste mura, tra i suoi dessert e le foto per Percorsi. È nato dall’essere sua allieva, cosa che mi ritengo ancora, ma non si è eviscerato solo nell’ambito professionale, tra pasticcere e quasi pasticcera. Si è instaurato tra due persone. Eppure qui quel rapporto deve essere messo da parte: come l’allenatore di calcio e la sua squadra. Come il datore di lavoro con i dipendenti. Non importa se finiti la partita o l’orario di lavoro si ritrovano a bere una birra insieme. Quando si è in campo è un’altra faccenda e non bisogna prendersela. Anche se non nego che sono scoppiata a piangere diverse volte. L’ultima proprio qualche ora fa. Perché qui la posta in gioco è alta e lo stress lo è ancora di più. E per arrivare in cima bisogna resistere al peggio. E il peggio non sono loro che mi urlano qualcosa per darmi uno scossone emotivo che ancora non so controllare, ma è qualcosa che va storto durante la gara. Quel qualcosa che devi affrontare a sangue freddo perché sei così bene allenata che anche gli imprevisti sono gestibili. E quindi il rapporto tra allenatore-allenato è un rapporto di odio amore in cui a volte sono scintille (o proprio bombe atomiche) e vorresti buttare all’aria tutto, ma come un genitore che fa la sfuriata che a sedici anni ci fa arrabbiare, poi capiamo che aveva ragione. O anche se non l’aveva, semplicemente lo sai che lo fa per metterti alla prova, anche se in quel momento proprio le lacrime non le sai trattenere.

Perché alla fine si condivide un obiettivo importante, e se lui è lì è perché crede in te e ha scelto di spalleggaiarti e supportarti nel percorso. Perché crede che tu possa farcela, perché ti deve spronare quando barcolli, perché deve aiutarti a costruire l’armatura per quel giorno, perché ogni tanto è anche una spalla su cui lasciarsi andare.
E poi allenamento è imparare un film a memoria. Dove il difficile non è sapere le battute, ma saperle fare sempre più veloce, in un’interminabile corsa contro il tempo. È far quadrare tutto, stampi, controstampi, andare a destra e a manca per progettare e trovare soluzioni a problemi. Perche a scovare ciò che non va siamo bravi tutti, ma a risolverla è tutta un’altra storia.”

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