L’Iran che non immaginiamo

Quando ho detto a tutti che andavo in Iran le prime parole che mi venivano risposte erano: “stai attenta” e “in bocca al lupo”.

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Per mia indole, forse anche troppo, non parto mai prevenuta. Soprattutto quando si tratta di viaggiare e di inciampare in nuove culture e usanze. E qui le donne hanno il capo coperto, quindi anche io mi sare dovuta adattare. E a noi “occidentai” coprirsi il capo è sinonimo di barbarie, dimenticandoci che sino a qualche decennio fa anche nei paesini delle nostre campagne ancora si faceva.

Qualcuno a cui l’ho detto ha storto il naso e aggrottato la fronte, ma per me è solo una limitazione mentale, poichè io non divento mussulmana se indosso una sciarpa in testa, come non sono buddista se per entrare in un templio mi devo togliere le scarpe. Semplicemente rispetto usanze e tradizioni. Esattamente come, seppur non cattolica, non mi permetterei di entrare in chiesa con shorts inguinali e canotta minimal. Eppure e si parla di velo c’è subito un giudizio, il pensiero che la donna sia per forza bistrattata.

E non è così, non sempre, non questa volta.

Sono arrivata in Iran e mi ha accolto la proprietaria dell’azienza per cui andavo a fare le dimostrazioni decosil. Si una donna. Gentile, colta, bella. Che indossa il velo e quando gira per strada anche lo chador, perchè lo considera una protezione per gli sguardi degli uomini che così non intravedono le sue forme corporee. Non è obbligatorio, è una sua scelta.

Al di là di questa prefazione, ho incontrato persone splendide, fatto due giorni di demo con circa 40 persone di cui 35 erano donne. Non ho mai fatto così tante foto con corsiste come in questa occasione e alcune mi hanno anche fatto dei regali. Nonostante io fossi una completa sconosciuta. Nessuno mi ha mai guardato con occhi così sognanti mentre lavoravo cioccolato e zucchero. Ho trovato un calore difficile da trovare in giro. Davvero.

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E poi c’è il cibo. Non posso parlarvi di carne perchè io non la mangio, ma cucinano riso dai chicci allungati in moltissimi modi, che servono solitamente da accompagnamento ai piatti principali. Pesci che da noi non esistono sotto forma di spiedino, alla griglia o fritti. In salsa di yogurt e curcuma. Ovviamente tutto è rigorosamente Halal, perchè così impone la loro religione. Quindi per esempio non troverete mai il polpo, o le vongole.

In ogni caso, io mi sono innamorata del Mirza Ghasemi, una purea di melanzane affumicate frullate con pomodoro, aglio e uovo. Me ne sarei potuta mangiare chili. E più o meno l’ho fatto. E poi c’è della frutta che da noi non esiste. I nomi sono troppo complicati, ma ci sono delle meravigiose bacche acidule rosse che potrebbero lontanissimamente assomigliare al nostro ribes e delle “palline” tipo piccole mele cotogne, il cui sapore si avvicina. Ci sono delle prugnette tipo ramasin e i pistacchi freschi. Da cui devi togliere ancora la pelle esterna prima di trovare il guscio. Si, sicuramente anche a Bronte, ma io non li avevo mai visti, mentre per loro è normalità mangiarli così. E le noci fresche, tenute in acqua, per nulla tanniniche nè amare. E i fogli di frutta disidratata. E il the. E gli stecchini di zucchero cristallizzato allo zafferano da sciogliere nelle bevande calde.

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E sono stata solo due giorni. Ma ci tornerò. Per andare al nord dove ci sono paesini meravigliosi. Per girare un po’, per assaggiare ancora.

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