Esperienza sensoriale a tre stelle: Le Calandre.

raffaele_massimiliano_by_Mario ReggianiSono passati quasi tre anni da quando mi sono seduta a quella tavola rotonda nella penombra della sala, vestita di rosso e con i ricci che mi coprivano il viso.

Ma come tutte le esperienze che ti entrano sotto la pelle ricordo le emozioni e le sensazioni come fosse ieri.

Perchè a Le Calandre non ci si siede per mangiare, ci si siede per assaporare emozione trasformata in piatti.

L’articolo che vi riporto era uscito su Pasticceria Internazionale n.259

“Emozione: è la prima parola che salta in mente per riassumere tutta la cena e l’intera serata. Pare riduttivo? Procediamo per gradi e, alla fine, vedrete che ne avrete la stessa sensazione sulla pelle.

Le tre “stellette”, come direbbe papà Erminio, sono il riconoscimento effettivo di quanto sia tutto a dir poco perfetto. Non si parla esclusivamente di esecuzione o del saper cucinare, affermazione decisamente troppo scontata, ma ci si riferisce ad ambiente, accoglienza e sinergia, si osserva la comunicazione coordinata tra il dove, il come e il cosa, tra persone e cibo, tra ambient e ingredientistica. L’arredamento minimal è molto caldo, con punti di luce e di colore che spezzano l’atmosfera soffusa e permettono di percepire l’energia intensa emanata dalla cucina, dallo chef e da ogni piatto. I tavoli sono rotondi e illuminati dal lampadario che li isola dal resto della sala, e contemporaneamente ogni commensale è partecipe della stessa esperienza, grazie alle sedute rivolte verso il centro sala affinchè nessuno dia le spalle a qualcun altro.

 Inizia la degustazione. Perché si, non è una cena, si assaggiano bocconi di emozione pura, semplice e intensa. Le sette portate, più qualche extra, sono insieme complesse ed estremamente elementari. Esaltano prima l’ingrediente, poi la mano di chi lo ha lavorato. Una pizza cotta al vapore che emana un profumo di pomodorini che ti penetra fino alle sinapsi nel cervello come se fossero a un millimetro dal naso, non capita tutti i giorni.

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  Il nudo e crudo di carne e di pesce è pensato in assenza totale di stoviglie: un acetato scivola sul tavolo, confondendosi con il legno, e invita a mangiare quei tre bocconi che quasi dispiace disturbare dalla composizione. Tutto si gusta con estrema calma immersi nella quiete della sala. Si chiudono gli occhi a ogni nuova forchettata, per non perdere nemmeno l’ombra di quelle sensazioni effimere, per individuare tutti gli odori e tutte le componenti che in quelle portate hanno un ben preciso ruolo. E quando sei del settore inizi a osservare con un’ottica diversa: ti soffermi sui profumi, sui colori e sulla presentazione del piatto prima ancora di coinvolgere gli altri sensi. Poi ti immergi nella consistenza, nel suono e nel gusto. Non mangi per mangiare, non solo, ma per essere parte di un mondo che sai quanto può essere magico. E in questa sala, tra queste mura che hanno tanta storia di vita da raccontare, questa magia non può passare inosservata, quasi si respira.

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Un boccone è come una sinfonia, o una poesia, e la bravura dell’autore deve incontrare orecchie attente che ne percepiscano la bellezza, invece irrilevante per uno spettatore disattento o disinteressato. E non è facile far vibrare l’anima alla gente. Non è facile scegliere le giuste note e le esatte parole, non è semplice trovare i giusti ingredienti e saper inventare le perfette combinazioni. Non è elementare e nemmeno impossibile: senza dubbio la famiglia Alajmo ne ha carpito il segreto.

Al tavolo non si percepisce il tempo che passa, si assaggiano gamberi rossi al tè affumicato con seppie scottate e pappa di melanzane, un’esplosione di sapori e consistenze che esplodono in bocca, perfettamente bilanciati. Ci si perde nel  suono della forchetta che arrotola gli spaghetti freddi allo “scoglio” sul piatto di pietra scavata, quasi a percepire il rumore del mare sotto le mani.

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Trascorrono mezz’ore e altre due o tre portate, prima di arrivare al dolce: la pasticceria da ristorazione appartiene a una dimensione in equilibrio tra il canonico concetto di pasticceria, da cui sicuramente prende ispirazione, e il mondo della cucina in cui si trova inevitabilmente immerso. Più precisamente possiamo dire essere una “cucina dolce”, dove le consistenze sono pensate per l’immediato, per essere d’effetto quel tempo necessario a consumarle, non certo per durare al di là di una vetrina, e gli abbinamenti e i sapori spaziano da essere tanto azzardati quanto geniali.

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Ci troviamo di fronte una nube di azoto liquido, che subito scompare per lasciare spazio all’elegante piatto, accompagnato da un timer che conteggia il trascorrere del tempo: In time: il gioco al cioccolato 2013 insegna a concedersi il tempo necessario per degustare ogni componente, ogni pralina e bicchierino, allontanando la frenesia di tutti i giorni almeno per questa sera. È l’ultima portata, che lascia a bocca aperta, che diverte nel tentativo di carpire tutti i sapori e le consistenze celate sotto il cioccolato e dentro i piccoli contenitori di ceramica. Una conclusione che con tutta la semplice complessità di cui è capace, ci esprime esattamente la filosofia del locale, di tutta la cena e di ogni piatto. Sottolinea l’importanza degli ingredienti, evidenzia l’accuratezza dei dettagli e illumina il tema fondamentale del tempo.

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Si dice che rimangano impressi nella mente dei commensali in particolare la prima e l’ultima portata di un pasto… Tesi che non possiamo che confermare, specialmente quando dietro un dessert si rivela così apertamente leggibile la filosofia di una cucina, di un locale e di una famiglia: Alajmo.

Come leggiamo dal sito: “Ogni membro della famiglia Alajmo ha un ruolo ben definito nella gestione dell’azienda: Erminio Alajmo (il papà) dirige il ristorante La Montecchia, Rita Chimetto (la mamma) supervisiona la pasticceria, mentre Laura accoglie i clienti del Calandrino a colazione con un cappuccino e un sorriso.” E poi ovviamente ci sono Max e Raf: Massimiliano prende in mano, ancora giovanissimo, le redini della cucina delle Calandre e ora gestisce le cucine di tutti i locali del Gruppo; Raffaele segue invece il business dell’azienda ancora in espansione che ormai conta più di 100 dipendenti.

Il costo del menù raccontato, In.gredienti (7 portate), è 225 euro vini esclusi. In.gredienti Estrazione (5 portate) ha invece un costo di 175 euro.

Quanti sono nel locale per rendere tutto questo perfetto e indimenticabile? Sei in cucina, Massimiliano compreso, e sei in sala. Affinché nulla sia lasciato e sia invece curato nei minimi dettagli.

E quando dico tutto, è davvero tutto, anche il tovagliolo che viene sostituito ogni qualvolta un commensale si alzi dal tavolo…”

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